
Racconti di viaggio
di Giovanna e Silvietto
Nepal
I Misteri della mente umana
Sono circa venti giorni che camminiamo tra sentieri valli e montagne delle valli del Kumbu .
La nostra vista ha spaziato su una parte importante della catena himalaiana, il Cho Oyu, l’Everest, il Lhotse e altre importanti montagne come L’Ama Dablan.
Ieri, dopo avere superato un altro passo di cinquemila metri, siamo scesi di quota inizialmente attraverso un ghiacciaio per poi farci strada attraverso una grande pietraia, coperta da neve molle riscaldata da un feroce sole, che ci ha fatto sudare abbondantemente, ed era impossibile svestirsi perché ogni tanto arrivavano folate di vento freddo che abbassavano repentinamente la temperatura corporea e bruciavano la pelle del viso bagnata dal sudore.
La notte ho dormito male dentro al mio saccone, mi sembrava di avere addosso ancora la maglia bagnata dal sudore in contrasto con la temperatura glaciale che vi era nella stanza. E quando mi sono riscaldato e pensavo di poter dormire, sono arrivati dei bisogni impellenti da espletare, qui non esistono bagni, ma latrine situate all’aperto ed esposte ai quattro venti, non vorrei uscire dal mio caldo bozzolo, mi vesto, in qualche maniera mi infilo gli scarponi a piedi nudi, ed esco.
Quando rientro mi sembra di tremare, non riesco a riscaldarmi ho sonno ma continuo a muovermi per riscaldare i piedi e le mani, poi all’improvviso mi viene un secco e sibillino colpo di tosse, non mi dà fastidio, nessun mal di gola. In questi luoghi la salute è fondamentale, la mia sicurezza si sta incrinando, sarebbe grave se mi ammalassi adesso, fra due giorni dovremo salire sulla cima dell’Island Peak un 6300 m. a coronamento del trekking.
All’alba partiamo, destinazione campo base del Island Peak
Alle tre del pomeriggio arriviamo al campo, le nostre tende sono già state piazzate e stiamo prendendone possesso, quando arriva l’ordine di scendere e dormire nel villaggio di Cho Kung, il motivo: le tende erano state poste in una posizione pericolosa ed erano a rischio di valanghe.
Personalmente sono sempre dell’ opinione che è meglio dormire in tenda che in certi lodge, dove si è ammassati gli uni agli altri.
In questi ambienti fumosi e piccoli dove l’ossigeno viene bruciato rapidamente ed essendoci mancanza di circolazione d’aria, si finisce per respirare più anidride carbonica che ossigeno.
E’ stata un brutta notte la tosse si è fatta più insistente , quasi insonne, alle cinque del mattino esco dal lodge per sgranchirmi le gambe e respirare dell’aria pulita, i primi raggi del sole irradiano le cime delle montagne che diventano rosso fuoco in contrasto con la spessa coltre di bianca rugiada che rende il paesaggio tutto uniforme.
Me ne sto assorto con i miei pensieri, quando da sotto una improvvisata tettoia adiacente al lodge, vedo all’improvviso sbucare da sotto un telo plasticato di tipo militare, quattro portatori Sherpa, avevano passato la notte praticamente all’aperto con quelle temperature e con un vestiario a dir poco fatiscente.
Il punto è che, malgrado quelle temperature, avevano dormito e quando mi vedono con un sorriso mi salutano con un sonoro “ Namastè “.
Siamo nuovamente al campo base punto di partenza della salita per la vetta, controlliamo i ramponi, le piccozze; nel mio zaino si trova anche della corda, l’imbragatura e altro materiale.
La tosse è lievemente aumentata, apparentemente non mi dà fastidio, verso mezzanotte dopo aver bevuto del the caldo e accesi i frontalini partiamo.
La salita è da subito ripida, inizia su un ghiaione la cui pendenza è di quarantacinque gradi, lentamente si sale di quota, non siamo ancora legati in cordata, io sono il secondo del gruppo dietro il capo spedizione, dopo circa due ore ci fermiamo per una sosta, per bere e prendere degli zuccheri.
I colpi di tosse si fanno più frequenti, ripartiamo, comincio a perdere posizioni e alla fine mi ritrovo ultimo della fila, vedo le luci che cominciano a distanziarsi, a parte i colpi di tosse il respiro è buono, ma le gambe non girano più e non tengono il ritmo degli altri.
Mi sforzo per aumentare il passo, ma le distanze si allungano, Mi fermo sento come una voce nel mio cervello, che si insinua e si fa strada, e mi dice “ Silvio dove vuoi andare, cosa cambia se arrivi o non arrivi alla vetta?, hai già avuto le tue soddisfazioni,ci saranno altri momenti “
Dietro di me c’è uno sherpa che mi accompagna, capisce il mio momento di debolezza e mi vuole aiutare, prende il mio zaino e se lo mette in spalla, io lo lascio fare, riprendo a camminare , il fiato va bene ma le gambe non girano, non girano come dovrebbero.
Nell’assoluto silenzio della montagna nel mio cervello la stessa voce rimbomba più forte di prima “ Dove cavolo vuoi andare, cosa cambia per te?, non diventi ne più grande ne più piccolo, sarà per un’altra volta, ci sono ancora tante montagne da scalare.
Si ma non questa! Guardo avanti e vedo la cima innevata illuminata dalla luna che si staglia bella nitida e dà la falsa sensazione che sia li a pochi passi, il cielo con la sua via lattea è uno spettacolo difficile anche da descrivere tanta è la sua bellezza.
Poi una improvvisa folata di vento gelido provoca in me un violento colpo di tosse che mi costringe a fermarmi.
Respiro profondamente, poi mi giro verso lo Sherpa che mi accompagna, mi riprendo il mio zaino anche se pesa parecchio, un ultimo sguardo ai miei compagni che ormai si stagliano in lontananza, e poi giù a scendere a ritroso per il ripido ghiaione seguito dallo sherpa fino a raggiungere il campo base.
Nella tenda mi levo i grossi scarponi e parte dell’abbigliamento pesante, mi infilo nel sacco a pelo, mi sento leggero e sereno, l’adrenalina che avevo in corpo è sparita del tutto, e prima di dormire nel buio della notte rivolgo delle preghiere, di quelle che mi ha insegnato mia mamma, per ringraziare il Signore e la Madonna per avermi dato la forza di desistere e la grazia di vivere un nuovo giorno.
In questi anni ho pensato a quel momento particolare, e cosa sarebbe successo se avessi continuato a camminare fino allo sfinimento per raggiungere la vetta.
Cosa ha fatto scattare nella mia mente le parole giuste per farmi desistere, è stato lo spirito di conservazione insito nell’essere umano, la fatalità, il destino, le esperienze di vita in montagna, o la conoscenza del proprio corpo?
Troppe variabili, nessuna variabile, la vita e la mente umana è, e rimarrà un mistero.
Il discrimine tra la vita e la morte è molto sottile.
Avverto un braccio che mi preme violentemente su una gamba, mi sveglio di soprassalto, e vedo il mio compagno di tenda che cerca di trovare dello spazio su cui sdraiarsi, ha la faccia stanca, gli chiedo come è andata, lui mi risponde che era arrivato molto vicino alla cima ma anche lui era stanco e se l’ avessi avvisato sarebbe ritornato al campo assieme a me.
Gli ho risposto che determinate scelte erano prettamente personali e non sarebbe stato giusto influenzare altre persone manifestando momentanee proprie debolezze .
In tarda mattinata, sono tornati alla spicciolata al campo base i nostri compagni di avventura, visi tirati ma orgogliosi di essere arrivati in cima. Il capo spedizione vedendomi pronto con lo zaino in spalla mi dice che se voglio posso incamminarmi e scendere fino a Cho Kung dove ci saremo ritrovati tutti. Oggi, arrivato a Cho Kung non ho mangiato niente, a dire la verità non ho fame, sono solo, seduto in una piccola stanzetta divisa da un piccolo corridoio dove passa una persona per volta, ai lati ci sono dei letti a castello, fatti di assi con sopra un tappeto tibetano dove è steso il sacco a pelo, per terra ci sono i sacconi e gli zaini degli alpinisti. Dal mio saccone tiro fuori un pezzo di formaggio grana e dei cracker, mi sforzo di mangiare, ma faccio fatica a deglutire ho la gola secca, mi aiuto con dell’acqua, ma è ghiacciata, e quando scende nello stomaco sento le budella ribellarsi.
Sento del trambusto di scarponi dei compagni di spedizione che fanno scricchiolare il pavimento in legno del lodge, noto subito che non sono tutti belli sorridenti, manca un componente della squadra, il giovane alpinista trentenne che aveva avuto nei giorni precedenti dei sintomi uguali ai miei. Chiedo sue notizie, mi dicono che una volta raggiunta la vetta e stato oggetto di embolia cerebrale e polmonare, e il capo spedizione gli ha prontamente fatto delle iniezioni, e che ora gli sherpa lo stanno accompagnando al villaggio.
Nei giorni precedenti avevo parlato con lui dei viaggi e delle esperienze fatte recentemente in montagna, era stato vago su una spedizione fatta otto mesi prima e non si era capito bene se avesse raggiunto la vetta, mi domandavo se era quello il motivo che lo ha spinto oltre il limite pur di raggiungere la cima; non glielo ho mai chiesto, non era il caso.
E’ quasi buio quando arriva sorretto da due sherpa, grande e atletico che era, ora è ridotto a uno straccio, continua a tossire, il viso è tutto rosso, pronuncia frasi sconnesse, lo adagiano su una branda non riesce a stare fermo. Il capo spedizione amico da anni, con lui sono salito su montagne in Centro America, in Africa, in Europa, mi chiede di aiutarlo a gestire la notte. Il malato continua a tossire e gesticolare in modo inconsulto, se cade dalla brandina può ulteriormente aggravare la sua malattia. Sapeva di poter contare sul mio aiuto,anche se ero esausto, esiste una legge non scritta ma vera: in montagna ci si aiuta a prescindere e a maggior ragione in casi che rasentano situazioni dove il rischio stesso della vita corre sul filo del rasoio. Non mi era mai capitato di trovarmi in situazioni del genere, all’improvviso ti trovi catapultato in una dimensione completamente nuova, psicologicamente non sei preparato, eppure trovi la forza di parlargli, cercare di tenerlo calmo. E’ una lotta continua tra momenti di agitazione, dove la tosse provoca delle convulsioni, e momenti di breve pausa. E’ stata un lunga notte con un’alternanza di situazioni dove il discrimine tra la vita e la morte è molto sottile, e la speranza risiede nel fisico giovane e forte del ragazzo.
Alle quattro del mattino la tosse diminuisce e comincia a dormire senza smaniare. Noi siamo esausti, ma più che dormire ci siamo riposati, e ci siamo posti delle domande come cercare di gestire la situazione, evitando che peggiorasse ulteriormente, certo che la quota dove eravamo non aiutava il malato, verso le sei abbiamo preso la decisione di partire e scendere di quota fino a raggiungere la località di Pangboche.
Alla fine la scelta è risultata giusta. Inizialmente è stato aiutato a camminare con il supporto del gruppo e aiutato da uno sherpa , ma con il passare del tempo, la quota che si abbassava, la temperatura più gradevole ha fatto si, che verso sera quando siamo arrivati a Pangboche, era ritornato nel pieno delle facoltà mentali e camminava in modo autonomo.
Il sorriso e l’armonia del gruppo riprese il soppravvento, la paura era passata e apparentemente non era successo nulla, le tappe successive furono Namche Bazar, Lukla, e Katmandu.
Ma questa è un’altra storia.