
Racconti di viaggio
di Giovanna e Silvietto
Orissa - L’anima tribale e spirituale dell’India
Diario di viaggio – febbraio 2012
E’ dalla città di Calcutta e con la visita del fiume Gange, che inizia la nostra avventura in India.
Sulle sue rive sporche e piene di rifiuti e, nelle acque limacciose, gli indiani compiono riti e bagni di purificazione, e perché per loro è un fiume sacro, e tutto ciò che è considerato sacro non può arrecare danno.
In India è la religiosità, con i suoi riti di preghiera e di pensiero, a dettare i tempi della vita degli uomini.
Questo primo impatto ci porta a riconsiderare la nostra mentalità di occidentali, abituati a dettare a noi stessi i tempi della religiosità in base ai tempi della nostra vita.
Il mercato dei fiori di Calcutta è fantastico, commercianti e cittadini vi convergono, chi li acquista per poi rivenderli chi per abbellire la casa o adornare i tempietti.
Fiori, fiori, fiori, le immagini non rendono appieno l’esplosione di fiori esposti in ogni luogo.
È difficile spiegare ciò che si prova a percorrere stretti meandri, dove cataste di fiori nascondono con colori accesi le piccole e fatiscenti baracche.
I sensi vengono continuamente investiti da odori e profumi che si mischiano a urla vocianti e sorrisi di ragazzi intenti a confezionare con grande maestria collane di fiori di ogni specie.
In questo posto il confezionare i fiori è diventata arte.
Percorriamo il tragitto che porta al tempio della Dea Kalì, che nella religione induista è il terzo elemento della triade Indù, insieme al Dio Brahma il creatore e Vishnu il preservatore.
La figura di Kalì è quella di distruggere, portare alla morte; ma secondo gli insegnamenti dell’induismo la morte non implica il passaggio alla non esistenza, ma semplicemente una trasformazione e un passaggio a nuova vita.
Collane di fiori freschi adornano i tempietti, le voci della folla che si confonde con le musiche rituali, la grande cupola del tempio, i colori dei sari delle donne i santoni che vogliono farsi fotografare per qualche rupia.
Vediamo una mamma che asciuga il suo bambino dopo averlo immerso nell’acqua del pozzo per la purificazione.
Noi siamo degli intrusi, poi tutto si stempera in un brusio di voci e profumi di incensi.
Visitiamo un tempio Giainista, è tutto un luccichio, qui i fedeli sono pochi e silenziosi, ci è permesso riprendere anche gli interni del tempio, non esiste un centimetro quadrato del tempio che non faccia parte di un mosaico.
Il Giainismo è una antica religione documentata come fede a sé stante, è una filosofia in quanto non implica divinità definite.
La dottrina e la filosofia Giainista indicano la via alla perfezione umana attraverso la non violenza, questo diventa un modo di vivere e un modo di codificare le verità eterne e universali.
E’ un filosofia risalente ad antiche civiltà della valle dell’Indo in un periodo che va dal 3000 a 1500 A.C.
Camminiamo su pavimenti cesellati e guardiamo con stupore tanta bellezza.
Non si può lasciare la città di Calcutta senza avere visitato i luoghi dove ha vissuto e operato Madre Teresa di Calcutta.
Madre Teresa di Calcutta, è stata senza dubbio uno dei personaggi più importanti nel rapporto tra Cristianesimo e Induismo.
La sua visione mistica è riuscita a creare un ponte tra la sua formazione cristiana e l’induismo, contesto religioso in cui operava.
E’ stato emozionante pregare sulla sua tomba, vedere i luoghi dove ha vissuto e operato, visitare la piccola e spoglia stanzetta dove in tarda serata riposava.
Dormiva poche ore in un umile lettino, per poi svegliarsi all’alba e riprendere con più vigoria la sua missione cristiana rivolta a tutte le persone bisognose che avevano bisogno di aiuto.
Assieme alle sue consorelle aiutava i malati indipendentemente delle religioni che professavano, e dalle caste di appartenenza.
Tutti indistintamente, donne, uomini, bambini vengono curati e assistiti con uguale amore e attenzione.
L’opera di Madre Teresa non è terminata con la sua morte, ma i suoi insegnamenti sono portati avanti dalle consorelle che operano in favore delle popolazioni più povere.
Dopo questa breve visita della città di Calcutta, in aereo ci trasferiamo a Vjsakhapatam nello stato dell’Andhra Pradesh.
Ad attenderci all’aeroporto oltre alla guida che ci accompagnerà nel nostro viaggio, una giovane indiana che cinge il nostro collo con una collana di fiori, sorrisi e strette di mano, i convenevoli sembrano finiti, quando arriva un giovane fotografo che ci chiede di poter fare una foto di gruppo.
La guida il giorno dopo ci ha consegnato il giorno dopo una copia del giornale locale, dove veniva evidenziata la nostra foto del gruppo, e messo in rilievo la nostra visita in quella regione.
Si parte per la nuova avventura, con dei fuori strada, dopo lunghe ore di viaggio attraverso boscaglie valli e piccole pianure secche e arse dal sole, in strade dissestate dove i nostri autisti devono fare le gincane per evitare le innumerevoli buche che si trovavano sula strada, finalmente arriviamo a Rayagada in Orissa.
Siamo in Orissa una delle regioni meno conosciute che però rappresenta l’anima tribale e spirituale dell’India.
Queste popolazioni discendono dagli abitanti dell’India che vivevano in questi luoghi da oltre 3000 anni
La storia racconta che a seguito di invasioni di altri popoli furono costretti a rifugiarsi sulle montagne, queste montagne non erano collegate tra di loro, erano come delle isole che galleggiavano sulle pianure dove si erano insediati gli invasori.
Questo isolamento protratto per millenni ha fatto sì che qui siano presenti sessantadue differenti tribù, ognuna con caratteristiche culturali, modi di vita e lingue diverse.
Siamo consci che in quel momento siamo dei previlegiati e andiamo a visitare realtà etnico e culturali ancore legate ad un antico e remoto passato, un patrimonio che dovrebbe essere tutelato e protetto perché unico al mondo.
La nostra guida smorza i nostri entusiasmi, e ci dice che nella regione e nelle montagne sono stati scoperti enormi giacimenti di minerali, e che l’India, paese emergente con più di un miliardo di abitanti, intende sfruttare.
Per questi motivi molto probabilmente la regione verrà preclusa ai visitatori stranieri, lo stato centrale porrà in essere lo sfruttamento intensivo dei giacimenti minerali, verranno costruite nuove strade, fabbriche, e nuovi insediamenti con persone provenienti da altre regioni dell’India, tutto questo in breve tempo porterà all’annullamento della memoria storica di questi popoli e dei loro usi e costumi durati secoli.
Strade sterrate si sostituiscono a strade parzialmente asfaltate, buche e polvere ci accompagnano, i fuori strada rallentano e si fermano delle donne della tribù, Desia Kondh, sono ferme sul ciglio della strada per vendere i loro prodotti, in bella mostra vediamo grossi fasci di legna e ceste piene di ortaggi e frutta freschi di giornata.
Le osservo sono media statura, vestite con abiti di colori sgargianti, alcune hanno artigianali sandali infradito altre sono scalze una di loro fuma un sigaro fatto con foglie di tabacco.
Sono sempre sorridenti, sul naso e nelle orecchie pendono ninnoli d’oro. a gesti chiediamo se è possibile fare delle foto, e una volta ottenuto il consenso con nostra gioia facciamo i nostri primi scatti.
Proseguiamo in quello che sarà per noi un lungo pellegrinare per le montagne dell’Orissa.
In piccoli spiazzi all’ombra di grossi palmeti, Incontriamo donne e ragazzi della tribù, Kutia Kondh, con grossi martelli di ferro rompono sassi per fare sbriciolato per riparare il fondo stradale.
E’ un duro estenuante e faticoso lavoro che queste persone fanno tutti i giorni, solamente per poter sopravvivere.
La nostra guida ci fa notare come siano evidenti i segni tatuati sul viso come riconoscimento della tribù di appartenenza.
Sulla fronte e sul naso delle donne vi sono delle linee verticali, mentre sul viso sono incise delle forme geometriche, alcune di loro hanno ai lati del naso degli ornamenti in oro, e sul naso un anello sempre in oro.
Questi luoghi sono mondi particolari, rimasti isolati per secoli, visitiamo dei villaggi, Kutia Kondh.
I Kutia Kondh vivono in zone collinari e sono molto gelosi delle loro tradizioni, sfuggono al contatto con gli stranieri, la cui presenza viene segnalata con l’uso dei tamburi.
Ai visitatori i villaggi si presentano pressoché vuoti, con pochi abitanti chiusi dentro le capanne, e la maggior parte del villaggio nella foresta.
Le capanne sono piccole massimo due vani, sono costruite del legno ricavato dalla foresta, il tetto è fatto di tegole artigianali, il pavimento è in terra battuta.
In lontananza riusciamo a vedere dei piccoli appezzamenti di terreno coltivati per produrre verdure ad uso familiare, le caratteristiche di questi appezzamenti è che sono tutti recintati con alte palizzate fatte con canne.
Continuiamo a spostarci su stretti sentieri, le colline di Niyamgiri, dove vivono le tribù dei Dongria Kondh, è un territorio di spettacolare bellezza coperto di dense foreste .
In un villaggio alla base della montagna ci fermiamo per vedere un mercato locale, in questi luoghi non vi sono bancarelle, ma solamente dei teli stesi per terra dove sono esposte le merci che le tribù del luogo portano a valle, in bella mostra otre alla frutta che può produrre la foresta, vi sono esposizioni di pesce di acqua dolce eviscerato e essiccato, oltre a tranci di carne non ben identificati, in questi luoghi le mosche la fanno da padrone, ma nessuno sembra farci caso.
I Dongria Kondh, contano circa 8.000 persone, e sono le tribù più isolate del continente indiano, vivono in piccoli villaggi lungo le pendici delle colline, coltivano piccolissimi pezzi di terreno, e raccolgono frutti spontanei della foresta che barattano in piccoli mercati, le donne come segno di distinzione usano portare numerose forcine sui cappelli oltre ad altri simboli.
I Dongria Kondh, vivono a Niyamgiri da migliaia di anni, con la loro religione animista e lo stile di vita hanno protetto i loro territori, sono anche chiamati “Jharnia” ovvero “protettori dei torrenti “perché” a loro spetta il compito di proteggere la montagna sacra Niyam Dongara dove dimora il loro dio, e i fiumi che sgorgano dalle sue foreste.
L’acqua dei fiumi che scende a valle viene incanalata dal sapiente lavoro dell’uomo, e attraverso canali e canalette irrigano terrazzamenti e pianure, dove viene piantato Il riso, principale alimento usato dal popolo Indiano.
Vediamo quanto sia duro il lavoro degli uomini che cercano di spronare i buoi a tirare dei primitivi aratri, e cosi preparare il terreno per le piantine di riso.
E’ una vita dura per tutti anche per le donne che devono lavorare nelle risaie per lunghissimi periodi.
E’ buio pesto quando siamo partiti, dopo qualche ora di viaggio tutti ammaccati dai continui sobbalzi provocati dalle buche delle strade, facciamo una sosta sotto degli alberi per sgranchirci le gambe.
L’alba comincia a irradiare il paesaggio, strani frutti sembrano appesi agli alberi, poi tutto si muove, in un grande frusciare d’ali di grossi pipistrelliche disturbati dalla nostra presenza partono in cerca di frutta.
Il sole adesso lambisce le colline, in distanza vediamo gruppi di persone che scendono a valle, chi per strada chi per sentieri.
Tutti vanno al mercato di Onkadelli portando sulla testa o in grosse ceste prodotti della terra, frutta raccolta dalla foresta, delle grosse pentole contenenti del distillato alcolico ricavato dal latte di palma fatto fermentare con l’aggiunta di particolari erbe, “le donne Bonda non disdegnano di bere il distillato già dal primo mattino” e altri prodotti fatti a mano come scopini o collane e quant’altro, che diventeranno merce di baratto o vendita.
Le donne Bonda sono facilmente riconoscibili, poiché portano il ringa, un succinto gonnellino a righe tessuto con rudimentali telai di casa, mentre il petto nudo è coperto da numerosissimi fili di perline, la testa è rasata e ricoperta da altri file di perline; l’abbigliamento è completato da grossi collari in bronzo o alluminio, bracciali e cinture.
Da un’altra valle scendono le tribù Didayee portando i loro prodotti.
Le donne Didayee hanno lineamenti aggraziati, nell’abbigliamento usano indossare sari dai colori brillanti, e si riconoscono facilmente per i fiori che si appuntano tra i cappelli neri e lisci.
Siamo consapevoli di visitare luoghi particolari, piccoli microcosmi legati ad un passato ancestrale.
Riuscire a visitare una tribù dei Boro Gadaba anche se in possesso di permessi speciali, non è stato facile.
Al gruppo Boro Gadaba, appartengono tre diverse tribù: i Boro Gadaba, i Ollar Gadaba, e i Paranga, solo i Boro Gadaba sono rimasti ancorati alle loro tradizioni ancestrali e ai loro rituali, usano ancora particolari riti in memoria dei loro antenati.
Abitano in capanne costruite con tronchi di legno e il tetto è fatto con foglie di palma e erba secca, cuociono il mangiare su dei rudimentali focolari all’aperto.
Gli uomini che vanno ancora a caccia con arco e frecce non si sono fatti vedere, mentre le donne adibite all’accudire i figli e fare da mangiare, portano al collo grandi collari di metallo, e hanno infilati alle orecchie enormi sottili cerchi di bronzo.
Nel mercato di Onkadelli punto di incontro delle tribù Bonda , Didayee e Gadaba, ci facciamo coinvolgere,- osserviamo i loro prodotti, vediamo dove vendono la grappa e la gente intontita dal troppo bere comincia a dar segni di nervosismo, donne Bonda e Gadaba che vogliono vendere i loro prodotti, Giovanna compra dello zenzero e si stupisce del prezzo basso rispetto al prezzo in Italia.
Mentre osserviamo le genti affluite al mercato, un pensiero affiora nella nostra mente; se togliessimo dalla scena noi piccolo sparuto gruppo di occidentali, e qualche baracca che vende prodotti di alluminio e bigiotterie, e contemporaneamente riportassimo all’ indietro l’orologio del tempo di duemila anni il contesto cambierebbe di poco.
L’India ha la popolazione più numerosa del mondo, per secoli nel suo insieme non ha sviluppato grossi mutamenti socio economici e industriali.
Ora a causa del così detto progresso, ora a causa della deforestazione, nuova urbanizzazione e industrializzazione parecchie tribù si stanno adeguando gradatamente ai nuovi e più moderni modi di vita.
In questa grande area tribale dell’Orissa gli indigeni sono conosciuti come “Adivasi” che significa - abitanti originari-,
Il nostro è un girovagare incessante, troviamo abitanti della tribù Paraja che scendono da sentieri scoscesi portando pesanti carichi di legna sulla testa, sono grosse fascine di legno duro e pesante, carichi per noi difficili solo da alzare, mentre loro portano questo immane peso per lunghe ore.
Il paesaggio cambia in continuazione, troviamo distese di terreni secchi dei contadini che spronano dei buoi che trascinano dei rudimentali aratri per arare il terreno per la prossima piantagione del riso, che avviene con le prime acque che porterà il monsone.
Ci fermiamo sotto alcuni grandi alberi dove un gruppo di donne dell’etnia Paraja accompagnate dalla musica stanno facendo delle danze, la musica e ritmata i passi della danza sono semplici e ripetono figure a noi incomprensibili, sorrisi e sudore si fondono nell’ impegno, tutto finisce con alcuni di noi che partecipano alla danza mentre il sole sta calando all’orizzonte.
Nella conoscenza religiosa dell’India le figure principali sono Brama, Dio della creazione – Vishnu, dio della preservazione e Shiva, Dio della distruzione.
Ma è quando ci fermiamo nella piccola città di Koraput , e visitiamo il tempio di “Giagannat Madir” un posto di grande devozione perché custodisce decine e decine di statue delle divinità dei diversi stati dell’India.
E’ un grande complesso dove oltre alle statue, troviamo sulle pareti disegni ornamentali di devozione agli Dei, che abbiamo già notato davanti ad alcune case.
Dopo aver ricevuto da un sacerdote induista una benedizione di pace e prosperità, augurio da noi ben accettato, siamo venuti a conoscenza che i santi venerati in India si possono contare nell’ordine dei milioni, solamente che in questo tempio sono rappresentati quelli che sono ritenuti i più importanti del’ India.
E’ un incalzare di sensazioni siamo nella località di Baligaon, ci fermiamo a vedere il mercato tribale dei “Dhuruba”, qui convergono da varie località e portano decine e decine di mucche e asini, assieme a polli e animali vari.
Quello che vediamo e ci rende perplessi e contrasta totalmente con quello che abbiamo letto sui libri e sulla filosofia che in India, le mucche sono sacre.
In questa parte dell’India le mucche sono considerate un bene economico da sfruttare per produrre latte, far nascere vitellini, e carne per sostentare i bisogni delle famiglie.
Nulla di nuovo quando vediamo uno o più persone che vendono o comprano questi animali, grandi discussioni che a volte sembrano litigi, poi quando l’affare sembra sfumare, come per incanto esce un paciere che fa stringere le mani ai contraenti e le vendite vengono sancite con grosse pacche sulle spalle.
Questi mercati per noi occidentali sono indescrivibili, bancarelle dove sono esposti vestiti e stoffe dai colori sgargianti, i raggi del sole che penetrano queste leggere seti coloratissime, il sorriso e la gioia delle persone che camminano su sentieri di terra battuta alzando piccole nubi di polvere, vasellame sparso per terra di ogni tipo, bancarelle di pesce di fiume che viene eviscerato e venduto al momento, vendono prodotti della terra e dei fiumi, numerosi oggetti atti alla lavorazione della terra.
Una serie di teli dove è stata esposta in bella mostra frutta e verdura in quantità, la gente si accalca, guarda osserva, tocca, contratta sul prezzo ma alla fine tra un sorriso all’altro, tutti comperano.
All’ombra di alti alberi vediamo donne che si dissetano bevendo distillati di palma, siamo attratti da un gruppo di persone vocianti che fanno da corolla a un venditore che frigge delle frittelle in un recipiente nero come la caligine, in un olio che potrebbe essere usato da mesi, e poi le consegna religiosamente avvolte in un cartoccio di carta di giornale, le frittelle erano talmente invitanti e forse per la fame che avevamo in quel momento, ha fatti sì che ognuno di noi ne ha preso un cartoccio.
Questi mercati durano un giorno intero, gente che continua ad arrivare al mercato e altra che se ne va, anche noi abbiamo terminato la nostra visita, le grida di bambini nudi che giocano festosi nel fiume richiamano la nostra attenzione, la gioia è nel loro viso e nei loro occhi, in questo luogo tutto sembra essere in armonia con la natura.
Una volta le tribù Dhuruba vivevano sulle montagne ed erano prevalentemente cacciatori e raccoglitori dei prodotti della foresta, ora vivono ai margini della foresta e molte tribù hanno trovato il modo di vivere facendo altri lavori.
Camminiamo su un stretto sentiero di terra rossa, attraverso una boscaglia che lascia filtrare rari raggi di sole, il sudore bagna le nostre camicie, i nostri scarponi alzano piccole nuvolette di polvere, che rendono arse le nostre gole, l’acqua che ognuno di noi portava nel proprio zaino comincia a scarseggiare, se non avessimo una guida Dhuruba che ci fa da guida, uno straniero andrebbe incontro a seri problemi, in queste foreste non ci sono punti di riferimento, ed è difficile orientarsi, inoltre è facile perdere la cognizione del tempo.
Visitiamo un villaggio Dhuruba, la sua popolazione è dedita principalmente all’agricoltura, usano ancora aratri rudimentali per dissodare la terra, raccolgono prodotti che permettono loro di fare una vita al limite della sussistenza, ma a dispetto di tutto il sorriso e il canto è sempre sulle loro labbra.
Il villaggio si dedica principalmente alla lavorazione della creta, da cui ricavano vasellame, in grandi quadrati di terreno esposti al sole sono disposti vari tipi di manufatti, dalle lampade votive che ricalcano i principali Dei indiani, a vasellame di vari tipi e dimensione ad uso famigliare.
Di fronte a noi una distesa di piccoli laboratori a cielo aperto, dove vi sono rudimentali forni di cottura alimentati continuamente con foglie secche di palma, canne di bambù e sterpaglie varie, nuvole di fuliggine si alzano pigre verso il cielo, il caldo è opprimente, le persone che lavorano sono a torso nudo, indossano pantaloni corti che assomigliano a perizoma, la loro pelle esposta perennemente al sole e al caldo ha preso un colore ramato.
La macchina artigianale che usano per produrre questo vasellame deriva da metodi antichi, metodi arcaici che inizialmente servivano ai bisogni della tribù.
Ora nello stato dell’Orissa tutto sta cambiando rapidamente, e le richieste di mercato di questi manufatti è cresciuta notevolmente.
Uomini seduti per terra, una base con un foro al centro che permette al perno di una ruota di ruotare liberamente, sopra la base della ruota una piattaforma con la creta grezza da lavorare, è un gioco di destrezza, con le mani devi ruotare la ruota e poi sagomare la creta, la ruota deve essere continuamente alimentata nella velocità finché il manufatto viene realizzato, poi un altro blocco di creta viene posto sulla ruota e tutto riprende con grande precisione e pazienza.
Già da bambini queste persone sono state iniziate a fare questo duro e massacrante lavoro quotidiano.
Noi li vediamo ancora a scherzare tra di loro per dimostrare alla gente che li osserva la loro bravura nel far girare la ruota e arrivare per primo a fare un manufatto regolarmente perfetto, il tutto si conclude con una grande risata degli astanti.
In questa zona il bambù è facilmente reperibile e gli abitanti del villaggio hanno sfruttato questo prodotto per costruire recinzioni, e sostegni per il tetto, vediamo la manualità e la grande maestria con cui fanno cestini e altri manufatti che possono essere venduti nei mercati.
la caratteristica di questo villaggio sono i tetti di ardesia che sfortunatamente vanno scomparendo sostituiti da lamiere o eternit.
Vediamo donne che tolgono la buccia al riso battendo un maglio di legno dentro un pesto pieno di riso grezzo posto alla base del pavimento, notiamo anche che portano cavigliere di alluminio che sono segno di distinzione.
In questo villaggio abbiamo scoperto una cosa nuova: a differenza dei villaggi fino ad ora visitati dove c’era sempre un gruppo di anziani a prendere le decisioni importanti per il governo della comunità; qui invece troviamo un capo villaggio che governa e si fa fotografare accanto ai suoi (numi tutelari), ai quali quotidianamente viene offerto del riso e bruciato dell’incenso.
Dentro a una foresta si trova la suggestiva località di Guptsewar che ospita l’affascinante tempio dedicato a Shiva, questo e il luogo dove si ritirò in meditazione “Rama” ed è descritto nel celebre poema epico Indiano Ramayana.
La divinità si rifugiò in una grotta, oggi considerata una delle più importanti mete di pellegrinaggio da parte dei devoti indù.
La gente è festante, hanno fatto km e km a piedi per arrivare, non sentono più la fatica, pensano solo a recarsi al luogo santo.
Anche noi dopo esserci rifocillati con un piatto di riso, saliamo su una ripida scalinata per raggiungere il santuario, la calca è indescrivibile, la grotta rimbomba del salmodiare dei fedeli, e in un baleno ti ritrovi fuori sospinto da altri pellegrini, ai piedi del santuario vi è un perenne mercato e un grande viavai, gente di etnie diverse, la folla ti sorride festosa, ci si vorrebbe fermare, bisogna invece ripartire, la strada da fare è ancora tanta, e molti sono i luoghi ancora da visitare.
Siamo a Jagdalpur nella regione del “Bastar”, qui vediamo come in modo artigianale producono lo zucchero di canna a ciclo continuo.
Un motore a scoppio degli ingranaggi mossi da pulegge che tritano la canna da zucchero, ne esce un liquido che viene immesso in grandi calderoni, sotto i quali è sempre acceso il fuoco, alimentato ininterrottamente dagli scarti delle canne appena tritate. - Il liquido si restringe e si cristallizza fino a raggiungere la giusta consistenza; quasi caldo viene messo in barattoli e commercializzato. L’assaggio è stato molto apprezzato.
Il sentiero si inerpica, il caldo si fa sentire, rivoli di sudore bagnano le nostre camicie, la bellezza del luogo ci incanta, alti alberi con le loro fronde sembrano proteggere piccole case fatte con tetti di ardesia.
In lontananza un ritmo di tamburi, stiamo camminando verso un villaggio della tribù Horn Muria.
Vediamo qui come l’ardesia sia stata sfruttata per fare recinzioni muretti a secco e quant’altro. Le donne sono affaccendate ai lavori della casa e osserviamo uomini che si incamminano lungo stretti sentieri, il suono dei tamburi adesso è più assordante, e quando arriviamo nel centro della piazza vediamo spuntare una processione di uomini e donne, gli uomini portano sul capo dei corni di bisonte con sopra lunghi pennacchi di penne colorate e suonano i tamburi, le donne indossano sari rossi e in mano anno un bastone con attaccate delle listarelle metalliche che battendo danno ritmo ai passi .
Allo stupore iniziale è subentrata la gioia di poter assistere alle fantastiche danze della tribù Bison Horn Muria.
I mercati che si trovano in Orissa apparentemente sembrano tutti uguali, grande affollamento di persone bancarelle e grande esposizione di merci. Invece frequentandoli ti accorgi che ogni mercato ha una sua specificità e un suo commercio.
Ci siamo trovati a camminare tra grandissime quantità il tamarindo raccolto dalle tribù Gonds e Bhata.
Questi mercati oltre al commercio permettono alle persone che scendono dalle montagne di fare nuove conoscenze di scambiarsi le idee, di intrecciare nuovi rapporti, e il pomeriggio si trasforma inevitabilmente in luogo di festa.
L’India ha una storia millenaria e le religioni sono parte integrante della sua stessa evoluzione fino ai nostri giorni.
Qui in Orissa abbiamo trovato antichi monumenti di religione Buddista, Induista, Giainista, tribù con religione animista con riti legati alla terra, poi tribù parzialmente convertite al Buddismo o l’Induismo.
Ma quello che stupisce è trovare un luogo sacro creato dalle tribù del posto, in una grande capanna troviamo una grande pittura muraria, a prima vista sembra un grande quadro naif, ma osservandolo bene osserviamo dipinte figure umane, di animali e figure simboliche.
L’immaginario sovrasta ogni filosofia e razionalità, ogni uomo o donna, in quella simbologia universale può trovare motivo di preghiera.
Siamo nella zona delle tribù Godh e Halba, queste tribù vivono in piccoli villaggi e seguono ritmi tranquilli. Vediamo come sappiano con rudimentali forge lavorare listarelle di ferro e ricavarne delle figure di persone e animali di varia foggia, è un lavoro che si tramanda da generazioni.
I fiumi adesso sono in periodo di magra la stagione dei monsoni è ancora lontana, stiamo guardando le cascate del fiume Idravati nella località di Chitrakote lo spettacolo prodotto e affascinante.
Percorriamo strade sterrate in mezzo alla boscaglia, Il paesaggio è sempre uguale, ad un tratto sbuchiamo su una strada asfaltata, gli autisti ci dicono che asiamo usciti dall’Orissa e ci troviamo nello Stato di Chhattisgarh,e precisamente nella città di Jadalpur, visitiamo quello che rimane del palazzo Reale.
Da quando è nata la repubblica Indiana, tutti i Maragià sono stati deposti, ma resiste ancora nel sentimento dei cittadini profondo rispetto verso i loro vecchi regnanti, e ne declamano ancora la storia e le antiche gesta.
Oggi e una grandissima festa dedicata al Dio Shiva.
I tempietti lungo la strada sono addobbati di bandiere, e i fedeli fanno offerte al Dio.
Ma è quando andiamo a visitare una collina sacra dedicata a Shiva, che veniamo coinvolti da una moltitudine di persone festanti provenienti da ogni parte, ci sono centinaia di biciclette moto macchine, trattori con traini a rimorchio piene di persone.
Siamo gli unici occidentali e la gente ci guarda con sorridente stupore, e giovani ragazzi in possesso di telefonino ci riprendono, e a loro volta vogliono essere ripresi da noi.
Inconsciamente diventiamo parte integrante della festa, seguiamo la lunga processione per arrivare al limitare dell’area sacra a noi preclusa.
Poco distante dei sacerdoti compiono riti propiziatori per ingraziarsi il dio, affinché dia buoni raccolti della terra.
Questi riti sono talmente pregni di fervore che portano le persone al parossismo, taluni perdono i sensi.
Siamo rimasti affascinati è stato un coinvolgimento totale.
A Raipur capitale dello stato di Chhattisgarh, abbiamo alloggiato presso il “Kanker Palace”, ex palazzo reale, ora parzialmente trasformato ad hotel per turisti.
I fratelli del Maragià ci hanno accolto e dato il loro benvenuto. Vedere quei trofei di caccia appesi ai muri, armi tribali, stanze da letto con antichi arredamenti, è stato come fare un tuffo nel passato senza dover chiudere gli occhi.
La serata si è felicemente conclusa assaggiando specialità tipiche della zona, allietati dai balli tribali della tribù “Maria dal corno di bufalo”
Siamo nella zona abitata dalle tribù “Maria”, villaggi che la foresta mimetizza e ingloba, gli uomini prevalentemente vanno a cacciare, le donne raccolgono tutto ciò che la foresta può dare.
Usano solo una stanza e per dormire, poiché la loro vita si svolge sempre all’aperto, vediamo un piccolo forno per cuocere, un mortaio per triturare la farina o altri prodotti, degli otri per l’acqua, e altre poche cose essenziali per fare da mangiare, i vestiti vengono appesi all’esterno.
Nella tribù “Maria dalle Corna di Cervo “abbiamo visto però come le donne sappiano sempre distinguersi, addobbandosi con collane fatte da antichissime monete d’argento, mentre gli uomini hanno voluto far vedere i grossi e pesanti copri capo con le corna di cervo per poi simulare una danza tra i sorrisi e i commenti degli astanti.
Da Raipur capitale del Chhattisgarh, in volo aereo arriviamo a Bhubaneshwar capitale dell’Orissa. Scesi dall’ aereo riceviamo delle collane di fiori in segno di benvenuto, un fotografo ci scatta delle foto, che con nostro grande stupore troveremo stampate sul giornale della città il giorno dopo.
L’articolo di accompagnamento scritto in lingua locale dice che mai in Orissa era arrivato un cosi numeroso e organizzato gruppo di Italiani. (Per la cronaca eravamo in diciotto).
Presi i fuori strada partiamo per Kanarak dove in serata assistiamo al più importante festival di danze, musiche e canti dell’Orissa, qui assistiamo all’esibizione di famosi artisti conosciuti in tutta l’India.
Adesso non ci sono più colline e foreste, siamo sul golfo del Bengala, costeggiamo il lago Khilika, che è la più grande laguna di acqua salmastra dell’India, nel tempo dei monsoni la sua massima estensione misura più di 1100 Km quadrati.
Il lago è un grande ecosistema con risorse di pesca di grandi dimensioni, sostiene migliaia di pescatori che vivono in 132 villaggi sulla costa e sulle isole.
Il lago è una zona umida di importanza internazionale per le migliaia di uccelli che vi svernano, (più di 160 specie) e un rifugio naturale per piante e animali.
Nel lago inoltre si trovano una particolare specie di delfini “Irrawaddi “, che purtroppo si sono ridotti a poche unità, le popolazioni del lago hanno smesso di pescarli e adesso sono una specie protetta.
Abbiamo solcato le acque del lago alla loro ricerca, sono animali schivi, per respirare mettono fuori soltanto la testa, abbiamo potuto scorgerli per brevi istanti.
Le onde si infrangono sulla rena, davanti ai nostri occhi abbiamo la vastità del golfo del Bengala, camminiamo sulla rinomata piaggia della città di Puri.
Più che spiaggia, si può definire un grande mercato dove troviamo dai venditori di conchiglie a quelli che ti offrono a pagamento un giro su un cammello o a cavallo, ogni persona si ingegna come può, troviamo anche degli artisti che creano con la sabbia un grande Buddha.
sulla spiaggia di Puri vi è una comunità di pescatori provenienti dallo stato dell’Andhra Pradesh, qui insediati per pescare nel mare aperto del golfo del Bengala.
Vi sono decine e decine di barche al limitare della spiaggia, e sulla sabbia grandi mucchi di reti; vediamo con quanta abilità i pescatori riparano le reti e assestano le barche.
Praticamente è un villaggio costruito al limitare della spiaggia. Alloggiano in baracche fatiscenti, prelevano con pompe rudimentali l’acqua dal sottosuolo, vi è totale mancanza di servizi igienici, in certi punti la spiaggia è diventata un immondezzaio.
Ogni tanto si trovano degli spiazzi apparentemente puliti dove viene essiccato del pesce
Gli abitanti di questa comunità conducono una vita durissima, ma loro non sembrano farci caso, già da bambini conoscono ciò che spetta loro, il resto lo fa la religione, in India le caste formalmente sono abolite, ma di fatto regolano ancora la vita delle comunità.
L’appartenenza ad una casta determina uno stato sociale ben definito, qui difficilmente puoi cambiare il tuo destino, è il “Karma” destino degli esseri viventi, secondo le filosofie religiose Indiane, esiste il ciclo di morte e rinascita, forse è questo il pensiero che sprona le persone ad andare avanti, hanno sempre la speranza che dopo la loro morte rinasceranno ad una vita migliore.
Questi villaggi vengono abbandonati nella stagione dei monsoni, le grandi piogge e le mareggiate, trascinano tutto in mare, cosi quando ritornano i pescatori le spiagge sono nuovamente pulite, è come un pendolo si ripete il nuovo ciclo.
La Città di Puri, è importantissima per gli induisti, da quando la città e stata consacrata al culto di Jagannath è considerata, la vera essenza dell’India, Puri per gli indù è la dimora del dio Vishnu, migliaia di pellegrini provenienti da tutta l’India vi giungono ogni giorno e in tutte le stagioni.
Prima di incamminarci per la strada che porta al tempio “Jagannath Mandir”, assistiamo a un rito propiziatorio con cui alcuni santoni garantiscono ai nostri automezzi e a noi passeggeri una protezione contro gli incidenti.
Percorriamo un grande viale dove le case si intervallano a templi, mentre gruppi di pellegrini frettolosi si frammischiano a mercanti che vogliono vendere i loro prodotti, ci sono bancarelle di verdure, mucche sacre che camminano indisturbate, mendicanti che chiedono elemosine, è un pullulare di vita dai mille risvolti.
Essendo un luogo sacro solo gli Indù possono accedervi, noi abbiamo potuto ammirare la maestosità del tempio di Jagannath Mandir dalla terrazza di una delle case adiacenti.
Solo dall’alto abbiamo potuto renderci conto della marea di gente che incessantemente varca l’entrata principale del tempio, e ammirare la vastità del complesso tutto cinto da alte mura, al suo interno quattro grandi costruzioni che costituiscono la dimora del Dio Vishnu; siamo rimasti rapiti dalla bellezza del santuario, però le sensazioni durano poco, rumori assordanti ci riportano alla realtà adesso il nostro sguardo si perde sulla città e tutto svanisce.
Chissà lo stupore dei naviganti che solcavano le acque del golfo, quando vedevano il tempio dedicato al dio del sole che fungeva da segna costa, e che i viaggiatori erroneamente chiamavano la “Pagoda Nera”.
“Meditiamo sull’eccelsa luce del divino sole; possa egli illuminare la mostra mente”.
Così recita una delle formule più sacre dell’Induismo, chiamato “Gayatri-Mantra”
Secondo fonti storiche la costruzione del tempio di Koranak iniziò nel nono secolo D.C.
Il tempio è racchiuso in una vasta cinta, con entrate su tre lati, ed è concepito come il “Carro del sole” trainato da sette cavalli.
Adesso solo due cavalli sono presenti sul posto, il carro è sostenuto da 24 ruote di quasi 3 metri di diametro; le ruote per taluni indicano i mesi dell’anno e delle 24 ore del giorno, e con i suoi raggi espletano anche la funzione di meridiana segnando le varie ore della giornata.
Non esiste un centimetro quadrato di questo monumentale complesso che non sia stato scolpito.
E’ una struttura armonica, un sapiente gioco di fregi e di modanature, statue raffiguranti scene erotiche, statue di divinità e principi, scene di caccia, parate militari, raffigurazioni celestiali di vita quotidiana, tutto questo in onore del dio sole che illumina ogni giorno nel suo cammino.
Bubaneshwar capitale dell’Orissa, chiamata città tempio dell’India.
Vi si trovano ancora circa 300 santuari di religioni diverse, costruiti in epoche che vanno dal terzo al diciassettesimo secolo.
Si potrebbe dire che la religione in India è come il santo fiume Gange, in cui confluiscono le acque dei sacri affluenti.
Qui a Bubaneshwar troviamo esempi di come il popolo Indiano, come il fiume Gange, ha saputo integrare le varie espressione di fede.
Ci troviamo nelle caverne “Udayagiri” ricoveri scavati nella roccia già nel secondo secolo a.C. da uno dei primi gruppi di fede Jainista.
Inizialmente erano grotte piccole, e l’altezza non consentiva di stare in piedi, servivano per la meditazione, la preghiera, e come riparo asciutto.
Con il passare del tempo la fama di asceti accrebbe la fede Jainista nel popolo, anche grazie al Re che concesse al luogo il patronato regale.
Le celle prima semplici e austere, divennero più ampie, sulle facciate troviamo sculture, scene di vita quotidiano o di cortei reali, troviamo sulla volta di una caverna un antico testo scritto in lingua Magadhi che racconta le gesta del Re Kharavel.
Adesso i templi Giainisti rifulgono di splendore, ma la filosofia religiosa di base rimane ancorata nell’ antica fede.
Uno dei templi più importanti di Bubaneshwar è il tempio di Mukteshwar, dicono che questi templi siano stati concepiti e descritti per creare la più vera fusione tra sogno e realtà.
Le sculture che decorano le sue pareti sono relative sia all’Induismo, che al Buddismo, che al Jainismo, in una sorta di globale ecumenismo religioso indiano.
Nella tradizionale vasca sacra vicina al tempio, vediamo un gruppo di ragazzi giocare gioiosamente con l’acqua, questo sembra rafforzare la credenza che se le donne si bagnano in questa acqua vengono guarite dall’infertilità.
Camminiamo lungo sentieri e vie della città, in ogni angolo si notano templi, taluni in buono stato altri mal ridotti.
Incrociamo di tanto in tanto frotte di pellegrini che si spostano da un tempio all’altro.
Costeggiamo un piccolo lago dove sono state versate le acque sacre di tutti i fiumi dell’India, in mezzo al lago hanno costruito la tomba di un famoso santone.
A sud di questo lago sorge il magnifico tempio di Lingaraja, racchiuso da un alto muro di cinta, possiamo solo osservarlo da fuori e guardare al suo interno solamente grazie ad una piattaforma.
Il tempio è vietato ai non Indù, anche se l’Induismo nella sua filosofia ritiene che tutti i cammini religiosi conducano attraverso percorsi diversi, al medesimo obiettivo finale.
Vediamo il tempio principale e una serie di santuari minori, i muri esterni delle costruzioni sono ricoperti di ornamenti e sculture, tutto il complesso sembra un cesello.
Con questa visione finisce il nostro viaggio che partendo da Calcutta ci ha portato in Orissa.
Come un filo di Arianna che si dipanava di giorno in giorno, siamo andati a ritroso nel tempo.
Abbiamo visitato le antiche tribù dell’Orissa che vivono nella foresta e praticano ancora riti ancestrali legati alla madre terra.
Abbiamo trovato tribù che si sono convertite all’induismo al buddismo e in piccoli casi anche al cristianesimo.
Poi abbiamo trovato un luogo considerato sacro dalle tribù del luogo, un grande murale contenente simbologie dove persone in cerca di fede poteva identificarsi.
Abbiamo visitato templi nuovi e templi antichi, abbiamo visto di persona la vita di questi popoli le loro culture e religioni.
Sono stati brevi momenti che ci hanno permesso di compiere ulteriori conoscenze e motivi di riflessione interna.
Torniamo a casa arricchiti della spiritualità e dalle affascinanti culture del popolo Indiano.