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Racconti di viaggio 

di Giovanna e Silvietto

Dal Campo base del
Cho Oyu a Katmandu

Racconto di viaggio di Giovanna

Dal  Cho Oyu a Kathmandu il 10.09.2001

Non scrivo mai le mie impressioni di viaggio, forse è un errore, ma ciò che è successo oggi lo devo raccontare perché rimanga più vivo nella mia mente . Siamo partiti alle ore 7 a.m. dal 1° campo base del monte Cho oyu  con le Jeep. Il paesaggio tibetano è montuoso , infatti conta le cime più alte : Everest, Cho oyu, ecc, e si apre in sconfinate vallate, coltivate a grano, ortaggi, pastorizia, a tratti brullo e molto sconnesse le strade. Con il fuoristrada gli scombussolamenti subiti sono indescrivibili. La vista delle vette Himalaiane, appaga e fa sopportare i disagi di viaggio. Poi nello scendere verso il confine Cinese con il Nepal, ci immergiamo  nella verdissima foresta Himalaiana; le strade sono sempre sconnesse e solcate da torrenti e cascate . Sotto una di queste cascate gli autisti delle nostre fuoristrada si fermano alcuni minuti per lavare le auto incrostate dalla polvere e dal fango accumulato nei giorni precedenti. La vegetazione è meravigliosa, verde, fiori,alberi, cascate, orridi vicino ai quali le nostre auto passano con disinvoltura. Finalmente arriviamo   a Zagmo  posto di confine Cinese con il Nepal. Ci timbrano i passaporti e ci fanno passare. Percorriamo sempre con i nostri autisti il tragitto verso la dogana Nepalese. Ma ora avviene il bello: dopo qualche kilometro ci dobbiamo fermare, c’è un signore nepalese che ci accoglie e ci invita a scendere per percorrere un pezzo di strada a piedi, perché con le auto non si passa ,  la strada è interrotta da una frana.  E i bagagli ?. Siamo attorniati da uno stuolo; non esagero  circa cinquanta  persone, di poveri cristi, alcuni anche molto poveri mal vestiti a piedi nudi, al massimo con un paio di ciabatte di plastica infradito, che si spingono  per essere il prescelto per il trasporto , sulla schiena, dei nostri bagagli  previo esborso di cinque dollari a nepalese .Ci dicono " state attenti ai bagagli, seguite a vista colui che li prende".    Silvio agitato mi grida " Giovanna stai attenta al tuo saccone". Il saccone di Silvio viene preso da un ragazzo e il mio da un altro. La strada da percorrere è un sentiero improvvisato  molto scosceso scivoloso e ripido,  mi sono dimenticata di dire che piove. Ho una paura tremenda di scivolare  e cadere anche perché  sulle spalle ho il mio zaino  che pesa. Il mio portatore mi vede  incerta e un po’ impacciata, perciò  oltre al peso del saccone  mi allunga la sua mano  per darmi un appoggio  e scendere sicura.  All’indice della sua mano  destra manca una falange, non conta tiene stretta la mia mano e mi indica dove mettere i piedi per scendere . Io ho gli scarponi super tecnici, lui  ha le ciabatte infradito di plastica. Io scivolo  lui no e mi tiene in equilibro. Arriviamo  alla fine del percorso  in circa quindici minuti,  ad attenderci c’è  un piccolo  camion molto ma molto scassato. Tutti i nostri sacconi  vengono sempre tenuti d’occhio,  caricati nel cassone  assieme ai maschi del  nostro gruppo, noi femmine saliamo davanti con l’autista, molto ben stipate perché l’abitacolo è stretto e noi abbiamo sempre i nostri zaini sulle spalle. La strada che ci porta  verso il confine nepalese  è sempre più sconnessa, con sassi buche, guadi . La pioggia si è fatta più insistente e penetra dalle fessure. Arriviamo al confine, sgombriamo in fretta le formalità di dogana. Questa volta saliamo su un bus, sempre scassato, con i nostri bagagli sul tetto di questo mezzo, coperti alla meno peggio da un telo di nailon. Il signor nepalese  che ci accompagna ci avvisa che  la storia non è finita, la strada più avanti è ancora interrotta, quindi dobbiamo nuovamente  scendere, percorrere ancora un sentiero, come il precedente, sconnesso e ripido . Io penso che scherzi, lo dice con il sorriso. No, non scherza!.  Dopo qualche Chilometro  ci fa scendere  dal bus e poi si ripete la storia precedente. Uno stuolo di ragazzi e adulti che vogliono  portare i nostri bagagli, c’è molta confusione  Silvio mi urla  “ stai attenta a chi prende il tuo saccone “. I nostri sacconi li prende un adulto , ma Silvio vedendo il peso esagerato che tenta di portare , gli toglie un saccone  e lo da a un ragazzino  che presumo avesse  dai dodici ai tredici anni. Iniziamo a camminare  a un certo  punto del sentiero  e continua a  piovere, la storia  si fa grigia non ci sono sassi ne arbusti ma solo fanghiglia, si scivola, ci sono persone cariche di vettovaglie che vengono in senso opposto, qualche centinaio di metri più sotto scorre  impetuoso un fiume, io mi vedo le budella in mano, niente paura un ragazzino di otto- nove anni  ( forse  compare di quello che mi portava il saccone),  mi offre  la sua manina sporca e  tiene stretta stretta la mano che gli allungo. Come il precedente portatore  anche questi  hanno le ciabatte infradito di plastica e io sempre i miei scarponi super tecnici. Arrivati a cento metri dal bus che ci deve portare a  Kathmandu il sentiero si interrompe  sopra una cascata , il ponticello di legno che collega le due sponde del ripido sentiero è rotto. Ci sono alcuni uomini che lo stanno togliendo, e noi che facciamo ora ?. Silvio e il suo portatore  passano  con un balzo rischiando grosso. Noi e  altri del luogo che devono passare di li,  vengono bloccati ,  perché sull’altra sponda c’è un grosso caterpillar che si mette al lavoro per fornire un nuovo passaggio. Fermi sotto l’acqua con i vestiti pieni di sudore e umidità osserviamo  il caterpillar che intacca un pezzo di collina, adesso pezzi di terra arbusti e fiori dai colori vivissimi si riversano sull'antro che la cascata ha scavato,  dopo trenta minuti  circa  il  lavoro è concluso e ci danno il via per passare. Bisogna fare in fretta prima che l’acqua distrugga  quel passaggio provvisorio, inoltre  ho una  tremenda paura che la collina intaccata dal caterpillar ci frani addosso finche passiamo. Ma  rassicurata dal mio giovane accompagnatore che mi tiene la mano  stretta e mi indica  dove mettere i piedi, inizio a passare, logicamente non siamo soli, dal senso opposto passano persone  del luogo e  non,  che portano sulle loro spalle carichi  pesantissimi. Nel trambusto le spinte sono inevitabili,  passato  questo cruciale  momento, il sentiero si fa  meno ripido, cerco allora  di lasciare  la mano  del bambino, ma  lui non molla e cosi camminiamo  tra fatiscenti abitazioni,  fango, sassi, polli,  pure c’era  sul sentiero anche  una gallina  con i suoi pulcini piccolissimi. Ora  che non ho  la paura di scendere osservo  la miseria che mi circonda. I ragazzini  e le  altre persone del luogo, mal vestite  e sporche,  le abitazioni  che sono  niente più che baracche  di legno con tetto  in lamiera  e il pavimento di terra.  Penso che il pollaio dove tiene le galline mia mamma  è più abitabile.  Finalmente  troviamo un pulmino che ci  sta aspettando, bagnati fradici , carichiamo i bagagli, il prezzo   di questo  trasporto  di bagagli  da parte dei portatori  era compreso nei cinque dollari  versati precedentemente. Io dico a Silvio di dare un ulteriore compenso a questi  ragazzini,  cosi faranno tutti gli altri  del nostro gruppo.  Salutiamo il signor nepalese  che ci aveva precedentemente accolti, ci lascia e ci affida  ad un altro  che dovrà portarci in albergo a Kathmandu.  Sono le tre del pomeriggio  e dobbiamo percorrere  altri settanta Chilometri, circa.  Ci stiamo abbassando di quota, adesso la natura che ci circonda è stupenda. Con tutta l’ umidità  che esiste in questa terra  la vegetazione  è esplosiva, ci sono  colline coltivate a riso,  altre ad ortaggi,  piantagioni di  banani  dove si possono vedere  ancora attaccati i caschi  delle dolci e piccole banane .Il percorso si snoda lungo  i declivi di queste colline, la strada  è sempre  molto sconnessa, e a tratti attraversata dall’acqua  di alcune cascate.  Il nostro autista  è in gamba  per fortuna!.  A un certo punto arriva  dal senso opposto  un altro bus,  io ho un momento di panico, vedo lo scontro frontale: ma no! I due mezzi  con una piccola manovra passano, tranquilli ci dicono  “ niente paura  qui in Nepal  c’è la guida a sinistra “ Io non lo sapevo. Ho detto che la vegetazione è meravigliosa,  passiamo  attraverso piccoli agglomerati di case  se cosi si possono chiamare. Sono  come ho detto prima  meno di un pollaio, piccole, anguste, sudice senza pavimento, gli abitanti  sporchi,  alcuni bambini sono nudi,   gli animali sono per strada: polli, anatre, vacche, capre, maialini, cani.  Piccoli negozi con poca  merce. Quanta miseria!,  due ragazzini  si stanno litigando una vecchia bicicletta arrugginita, non ci sono auto in giro. Tutti vanno a piedi o al massimo  con i bus scassati. Ci sono  case sparse  anche sopra  le colline, non ci sono strade per raggiungerle, ma solo piccoli sentieri. Qui si vede veramente in faccia la povertà più brutale.   Mano a mano che ci avviciniamo a Kathmandu  i paesi della periferia si fanno sempre  più consistenti. Ma le cose non cambiano le case sempre fatiscenti, le strade  sembrano degli acquitrini, animali che vagano tranquilli,  si vede qualche vecchia  auto, in certi punti il pulmino deve  rallentare, perché la gente affolla  e ostruisce la strada. Osservo  e penso , anche qui dove regna la miseria  la gente, come in Tibet, è serena – come farà? .  Adesso è notte  il buio è quasi assoluto delle   lampadine illuminano le strade  siamo arrivati  a Kathmandu.

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